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INTERVISTA A MIRANDA MAGISTRELLI
DI PAOLO FUMAGALLI


“Prima che venga iI buio, dalla finestra dietro la quale dipingo, vedo il sole
che tramonta oltre le Alpi e trasforma i tetti di Vercelli, in uno sfavillio di rosso”
Dipingere, saper dipingere, è il sogno di molti, in particolar modo di coloro i quali non
si capacitano di come si possa, attraverso il pennello, riprodurre la realtà con una perfezione a volte stupefacente. Questione di tecnica, sostengono alcuni; ma noi crediamo
che la tecnica, da sola, generi opere senz’anima, perché il quadro deve contenere lo
spirito del pittore, i colori, la struttura del quadro devono essere lo specchio dell’anima.
Stimolata dalle nostre domande Miranda Magistrelli, che vive e lavora a Vercelli da
parecchi anni, ha accettato di fare il proprio ritratto come pittrice, artista e donna.
Signora Magistrelli quali sono le sue origini?
“Io sono di un grosso paese della cintura milanese, Magenta, e la mia era una buona
famiglia di lavoratori, come tante altre”
Quando e come arrivò a Vercelli?
Giunsi a Vercelli trentacinque anni fa, sposando un vercellese. Nei primi tempi ho sofferto
perché non sono stata capace di introdurmi immediatamente nell’ ambiente cittadino”
A quel tempo cosa faceva?

“Facevo la casalinga e la moglie, ma il vuoto dei lavori casalinghi mi distruggeva perché
dentro di me sentivo qualcosa di diverso: fin da ragazza avevo coltivato la passione
del dipingere, dello scrivere, così ho cercato di riempire le mie giornate coltivando la mia
passione, cosa che mi ha impedito di cadere in pericolose crisi depressive. Ho cercato di
tirare fuori ciò che avevo nell’ animo da sempre”
Questi sono stati gli inizi, in seguito cosa accadde?
“Ho cominciato a frequentare la scuola di Rinone con cui instaurai un bellissimo rapporto,
per me egli era un maestro ed un grande amico: lavorando al suo fianco mi sentivo
bene, mi lasciava molto libera perché capì subito che avevo una mia personalità, avevo
delle idee che non volevano essere contaminate dagli altri”
Cercava denaro e gloria?
“Assolutamente no. Per me era un bisogno istintivo, lo stesso che spinge ognuno di noi
ad esprimere qualcosa nella vita, altrimenti si sente già morto”
Quando fece la prima personale?
“Una decina di anni fa e la feci sollecitata da altri; personalmente sono molto schiva,
molto timida anche se in apparenza sembro estroversa. I giudizi del pubblico, l’incomprensione degli altri mi fa dispiacere. Devo dire che questa prima mostra ebbe grande successo, di critica e di vendita; i miei quadri sono finiti perfino in Giappone.”

Questo è stato un grosso incentivo per proseguire?
“Esatto i miei genitori organizzarono a Magenta un’altra mia personale ed anche in
questo caso fu un grande successo. In seguito i miei non ebbero più tempo per organizzarmi mostre ed io, dal momento che manco di senso pratico, non ho la forza di organizzare una personale”.
Non ha fatto più mostre però ha continuato a lavorare, a dipingere.
“Ho sempre cercato di fare cose sempre più belle, sempre più raffinate, uscendo anche
dal mio filone preferito che sono i fiori e le rose”
Quanti quadri ha dipinto?
“A dire la verità pochi, perché un quadro lo vedo e lo rivedo; dal momento che non
sono spinta dalla smania del guadagno cerco la perfezione estetica, nella forma e nei
colori”.
Quando al mattino apre la finestra di casa sua cosa vede?
“A seconda delle giornate. Penso di essere una donna con una doppia personalità: in
alcuni momenti sono pratica e con i piedi per terra, in altri una sognatrice al fuori della realtà: per questo la mia visione della realtà è molto differenziata a seconda delle giornate
e dei mei umori. Non vedo solo il lato positivo ma anche tutto il brutto della vita: quest’ultimo è una costante che cerco di coprire con la bellezza dei fiori, che dipingo spesso”
L’arte è dunque un rifugio?
“Un chiudere gli occhi davanti alle tristezze torturanti della vita

”Che cos’è per lei la sofferenza?
“Vivere”

Lei giustifica la sofferenza?
“Premetto che non ho mai capito che cosa è la sofferenza e che cosa è la vita: per vedere
la vita devo pensare alla morte. Io non tollero la sofferenza: la mia sensibilità si lascia
travolgere dal dolore, che comincia quando si nasce. Se io dovessi essere un creatore
toglierei la sofferenza dalla vita, perché, per cattiva che sia, riuscirei a perdonare il mio
peggior nemico”
Che opinione ha della morte?
“Se fosse la fine sarebbe per me la più grande gioia, la liberazione. La paura di rivivere
mi fa soffrire come la paura della malattia”
Crede nell’ aldilà?
“Ho le idee ancora molto confuse. Vedo un gran buio, non riesco a dare, su due piedi,
delle risposte esatte, su questo argomento ho scritto parecchio. Io sono stata educata

molto religiosamente, ma sono convinta che la vita sia umana sofferenza; se in questa
vita esistesse il libero arbitrio, e non è vero, si dovrebbe chiedere ad un essere umano se
vuole o non vuole vivere: io avrei optato per il no. Oggi come oggi voglio soltanto finire
perché ho già visto abbastanza: secondo me la vita nasce in maniera crudelissima, la
vita è prevaricazione del più forte, è la concezione stessa del più forte e tutti gli esseri più
deboli vengono selezionati. La mia arte viene da questa continua sofferenza, da questo
mio conflitto interiore; impazzirei se continuassi a pensare a queste cose e non potessi
avere la valvola di sfogo dell’arte”
Che cosa è Vercelli per lei

“Una città molto bella perché ha delle dimensioni umane”
Sul piano artistico cosa esprime?
“Fino a dieci anni or sono c’erano delle tendenze molto precise. Adesso, non solo
in Vercelli, c’è un emergere di personalismi galoppanti: anche qui c’è un gran numero
di persone che vuole diventare qualcuno o qualcosa, ma non per se stessi, perché
vogliono esprimere qualcosa, un sentimento interiore, ma perché vogliono essere sulla
cresta dell’onda”
Sul piano culturale come vede questa città?
“Le persone sono istruite ma non colte, sotto certi aspetti. Perché la cultura è ciò che
rimane dell’istruzione; non tutti possiamo diventare persone colte e parallelamente non
tutti possono diventare delle persone creative, perché l’istruzione, se non viene assimilata,
diventa una cosa sterile”
Fotografia e pittura a volte vengono accostate; cosa ne pensa del fotografo Luciano
“Baita” Giachetti? Secondo lei è un creativo?

“Secondo me è un filosofo della macchina fotografica a tracolla”
Ma è la macchina che trasporta lui o lui che trasporta la macchina?
“Un facchino trasporta la macchina, un filosofo trasporta le idee”
Se lei potesse riassumere tutti gli aspetti della città di Vercelli in un dipinto cosa raffigurerebbe?
“Il Campanile di Sant’Andrea, la piazza Cavour sono state troppo dipinte e troppo
fotografate. Per me gli ingredienti sarebbero altri: metterei sulla tela forme gestuali, forme
strane perché Vercelli ha molte facce, molti aspetti”

Che colori userebbe
“Dal momento che sono una persona con una vista poliedrica non sono come tanti
pittori che mettono solamente il grigio od il beige perché sono colori facilmente assorbibili
e che non guastano, userei tutti i colori della tavolozza a seconda delle stagioni e dei sentimenti dei cittadini di Vercelli” Non esiste un solo momento: per esempio la primavera a Vercelli è verde, con i suoi viali alberati, in questa stagione è una delle città più belle del
mondo”

Chiudiamo ora questa finestra ideale: prima che venga il buio come vede la città di
Vercelli?

“Prima che venga I buio, dalla finestra dietro la quale dipingo, vedo il sole che tramonta
oltre le Alpi e trasforma i tetti di Vercelli, in uno sfavillio di rosso”
Il vercellese quando va a letto è tranquillo oppure è infelice?
“Non può essere infelice perché vive in una città abbastanza ricca: gli agricoltori hanno
raggiunto livelli di benessere mai visti. I pittori e gli scrittori invece sono degli idealisti,
tutta un’altra categoria”

Sono dei matti?
“In senso buono ovviamente, in senso geniale. C’è da dire che l’uomo comune giudica
pazzo quello che è al di là della sua concezione mentale”
Lei è felice?
“No … non sono una donna felice. Sono una donna che cerca, tutti i giorni, di essere
meno infelice possibile, cercando ogni giorno una piccola gioia che possa alleviare questa
infelicità. Cerco sempre di sorridere”
Questi suoi travagli l’aiutano nella sua arte?
“Sono una donna che pensa molto, cerco di penetrare in problemi esistenziali irrisolvibili”
Attualmente cosa sta preparando a livello professionale?
“Cerco di esprimere le mie sofferenze, le mie gioie, le mie contraddizioni in maniera
diversa”

Non pensa che, dal momento che l’artista deve gettare queste sue sensazioni in qualche
maniera, l’arte sia una sorta di zavorra?

“Più che zavorra l’artista getta idee, frutto del proprio inconscio”
Ma non pensa che tutti noi abbiamo, in fin dei conti, zavorra da buttare?
“Io penso solo che tutti arriviamo al capolinea brutti, malati, stanchi e vuoti; ma soprattutto
delusi, dall’ umile all’ importante.”


Paolo Fumagalli

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